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Non sono andato alla Bergamo Street Parade sabato pomeriggio.

Mentre tutti là fuori sgambettavano euforici, io stavo col pigiama di flanella davanti al computer coi capelli gusto petrolio e la barba vecchia di diversi giorni. Annoiato e trasandato com’ero, fui facilmente trascinato dai venti d’insulsa polemica che soffiavano fortissimi, quel giorno. C’era chi cavalcava tali venti con maggior destrezza di quel Napoleone davidiano che tanto ci ha fatto ridere quando hanno messo il t-rex al posto del cavallo.
Cinque minuti dopo la morte senza senso apparente d’una giovane studentessa, tre quarti dell’Italia aveva già condiviso seicentomila link contro le mafie (e, dopo aver cliccato su “invio”, pensava: “beccatevi questo, mafie!”), mentre il venticinque per cento rimanente aveva già raccolto prove sufficienti per puntare il dito contro servizi segreti deviati, la speculazione finanziaria, Mario Monti, le banche, il signoraggio, le multinazionali del farmaco, le scie chimiche, il Bilderberg e Francesco Totti.
Si indice la giornata di lutto nazionale. Anzi, quasi non la si indice, sono gli stessi cittadini a fare penitenza, dire fare baciare lettera o testamento.
E’ morta una ragazza, dobbiamo mobilitarci perché non succeda più, l’evento in sé si intende, eh! Che non muoia più chi è già morto! Non le persone (vecchi ragazzi uomini bambini) che qui in Italia muoiono e continuano a morire per stragi silenziose, ingiustizie quotidiane subdole molto meno spettacolari, molto più difficili da emblematizzare – loro NO! Molti di loro sono addirittura ancora vivi, figuriamoci.

Insomma, mentre l’Italia nel giro di un pomeriggio si trasformava nel meeting di investigatori (o, se preferite, nel salotto di Vespa) più grosso del mondo, certi Napoleoni di cui si diceva, presi dallo sconquasso emotivo, dall’ambascia insormontabile e profondissima del lutto subìto, si indignarono molto nel realizzare che la Bergamo Street Parade non era stata rinviata. Persino il Papa avrebbe sospeso la maratona di “The big bang theory” prevista per quel giorno.
Ora, che c’è di meglio d’una botta di vita per condannare una morte ingiusta?
Sicuramente meglio una botta di vita di una manifestazione politica, di fronte alla morte. Se proprio vogliamo rendere la morte un lacrimoso spettacolo, di fronte a tale spettacolo si stia almeno zitti. Politica e improvvisati opinionisti dovrebbero frenare e chiudere la bocca, almeno per un santo macabro giorno.
La Bergamo street parade non l’ha fatto. Ma lei poteva, con il suo schiaffo vitale ora  trasformato in vomito rappreso sui muri. Opinioni e politica, rivendicazione e cambiamento non scorrono in mezzo a musica a tutto volume, divertimento, ballo, alcol e droghe, se non solo in superficie (e chi crede di cambiare così la realtà sociale quotidiana, o è in malafede o è un illuso). Loro potevano festeggiare, e giustamente l’hanno fatto. Perché sono vivi.
Io alla Bergamo street parade non ci sono andato. Purtroppo ero malato.